Ciao a tutti amici del Taccuino! 📚
Vi ringrazio innanzitutto per l’apprezzamento al post precedente “Rispolverando la tesi, il diritto dei longobardi” parte prima, per cui ho deciso di riportare subito la seconda parte del post…vi informo che ce ne sarà una terza in seguito!!
Dunque, continuando lo scorso post, tra gli istituti giuridici longobardi esaminati nella mia tesi di Laurea vi è il launegildo. I Longobardi, infatti, non concepivano la donazione a titolo gratuito dei propri beni in quanto essa era considerata una sorta di “depauperazione” (impoverimento) del proprio partrimonio.
Con il launegildo il donatario (colui che riceveva i beni “donati”) cedeva al donante un bene di modico valore detto anch’esso launegildo. Tale pratica non era solo simbolica o di ringraziamento per il bene ricevuto, ma era necessaria per evitare eventuali ripensamenti da parte del donante (il quale, senza il launegildo poteva revocare la donazione in qualsiasi momento). Rendere immodificabile e certa la donazione era lo scopo del launegildo.
In termini prettamente giuridici il launegildo era (fonte Treccani ):
L’oggetto della controprestazione, sia pure simbolica, necessaria per perfezionare i negozi giuridici con carattere di liberalità, non essendo formalmente ammessi se non i negozi onerosi.
Solo in un caso particolare questo strumento giuridico non era richiesto: la donazione a luoghi sacri, come ad esempio le Chiese. Questo tipo di donazione era detto “donazione pro anima” ed era utile, secondo la concezione dell’epoca, per espiare i propri peccati.
Un altro importante strumento giuridico analizzato nel mio lavoro è il “mundio“. Esso consisteva in concreto nel potere di “protezione” da parte del capofamiglia sugli altri membri della famiglia, in particolare sulle donne. I figli maschi potevano “liberarsi” del mundio una volta divenuti maggiorenni (cioè nel momento in cui erano in grado di portare le armi), mentre le donne non potevano in alcun modo liberarsi da tale potere di “signoria” del padre.
Le donne, infatti, erano titolari solo della capacità giuridica: potevano quindi concludere contratti o alienare (vendere) i propri beni solo con il benestare del padre (non possedevano quindi la capacità di agire, come viene definita giuridicamente). Queste ultime, inoltre, neanche dopo il matrimonio si liberavano del mundio, il quale poteva essere acquistato dal marito. Se quest’ultimo non lo faceva esso restava al padre.
Il mundio veniva acquisito dai figli maschi nel momento in cui le donne restavano vedove, poichè esse non potevano restare senza questo tipo di “tutela giuridica”. Il supremo “mundialdo” era il re.
Una parte della tesi è dedicata anche alla concezione del diritto ereditario e a quella della proprietà. A differenza degli “acquisti occasionali”, che potevano essere facilmente venduti, il patrimonio ereditario difficilmente veniva ceduto a terze persone, proprio perchè costituiva la componente economica stabile della famiglia.
Ereditavano i figli legittimi ma anche i naturali, in proporzioni minori. Anche le donne ereditavano e veniva data importanza persino alle sorelle del testatore, quando queste ultime vivevano nella casa fraterna o paterna.
Secondo l’Editto di Rotari, per stabilire i gradi di parentela veniva utilizzato un giuramento definito” la prova dei dodici testimoni“, con il quale queste dodici persone avevano il compito di attestare quale fossero i parenti più prossimi del defunto, in modo da escludere gli altri dall’eredità.
In mancanza di figli il testatore poteva disporre dei propri beni nei confronti di chicchessia attraverso una sorta di strumento giuridico che alla fine era una sorta di “testamento”, il Gairethinx.
Per quel che riguarda il concetto di “proprietà”, i Longobardi preferivano il rapporto esteriore tra “uomo” e “cosa”( detto gewere). Ciò che contava era quindi il possesso reale, concreto, del bene, visibile e come tale riconosciuto.
La parola Gewere può essere tradotta in Italia con il termine “Investitura“: il legame materiale ta uomo e cosa, in particolare tra uomo e terra era riconosciuto e rispettato da tutta la comunità: l’animus (intenzione) del titolare del bene non era preso in considerazione, quindi.
Ciò che contava davvero era il reale possesso del bene (in concreto) e che l’uomo riuscisse a godere appieno dei “frutti” del bene stesso (esempio nel caso di un possedimento terriero).
Infine, per questo post, sottolineo il concetto di “wadiatio” e di “wadia”. La wadatio era un contratto formale obbligatorio che consisteva nell’atto simbolico della consegna, da parte del debitore al creditore, a mò di pegno, di un oggetto chiamato wadia, in genere un’arma, consegnata ad una terza tersona che aveva l’obbligo di “pignorare” i beni del debitore che non adempieva ai propri obblighi (la pigneratio dei suoi beni).
Per questo post è tutto, ci siamo addentrati in maniera un po’ più tecnica ma spero di avervi incuriosito lo stesso
La terza parte di questa serie di post parlerà in breve degli “Statuti di Benevento” (la mia città) del 1202 e del 1441..
Un carissimo saluto ed alla prossima…ciao da Grazia ♥
la storia millenaria italiana passa anche attraverso leggi, norme, grandi uomini, filosofi che hanno origine sia nell’antica Grecia sia nell’antica Roma e anche nei longobardi ecc. che hanno modellato anche l’assetto giuridico su cui si basano molte leggi attuali. Molto interessante il tutto ..brava.
Grazie per il bel commento e per i complimenti! Alla prossima!! 🥰
l’ho letto con mio figlio molto molto interessante grazie
Grazie mille Giusyna, un grande abbraccio a te ed a tuo figlio
Interessante come la parte precedente, più tecnica ma non per questo noiosa. È un vero peccato che al liceo non mi abbiano spiegato queste cose, erano decisamente più interessanti di alcune di quelle che ritenevano importanti. Alla fine mi rendo conto che di storia a scuola raccontano sempre le stesse quattro cose 😔
Hai ragione Enrica, la scuola dovrebbe aggiornarsi, purtroppo…speriamo nel futuro..